humana conditio e urbana conditio

Written by Nicolò Piro on .

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Per non perire nelle menti malate degli idioti, l' urbanistica deve poter trovare la sua autentica raison d' être tra:

 

humana conditio et urbana conditio

 

 

sforzandosi di trovare una collocazione all' interno del campo tensionale o magnetico capace di spaziare dal senso della vita alla mutevole realtà del quotidiano tendo nel debito conto i rischi immensi e, in quanto tali, imprevedibili, delle trasformazioni sociali e dei mutamenti climatici già in stato avanzato. Cosa meglio possono dare un contributo fecondo se non una pianificazione urbana morbida, capace di condurre ad un' ars urbium (urbanistica) che non deve mai perdere di vista i suoi caratteri di scienza, e concetti magici come spazio e interstizio urbani, tessuto edilizio, trama viaria, etc., che compongono quella materia urbana da percepire come continua „transizione in essere“, event in, attesa, ma anche speranza mai sopita della Weltanschauung di Walter Benjamin.

 

Arido sarebbe ridurre il tutto a quel vano girar intorno al vuoto nella tipicità di un prof. ordinario di urbanistica che presiede una scuola politecnica, relegato nel profondo Sud d' Italia, pieno di sé stesso (e di null' altro), che di autentica substantia culturale e intellettuale, nel ruolo di componente impantato nella fanghiglia di presunti tavoli tecnici dove si muovono avvocaticchi-assessori al territorio e ambiente, vuoti curriculisti di sedicenti dipartimenti dell' urbanistica e competenti proff. universitari e dirigenti è stata elaborata una sedicente leggina urbanistica regionale a sostituire un serio costrutto di valenza nazione dove, come nella seria, compoesta e ordinata Germania s' incontrano, e armonizzano, Diritto urbanistico (Legge urbanistica „nazionale“ e Ordinmento „nazionale“ sull' uso dei suoli e dei lotti edificabili), Diritto edilizio pubblico (Regolamenti edilizi „regionali“ e Statuti urbani, Norme pel buon costruire armonizzate da un sovrano <Sistema di misura oktametrico> (1 am = 12,5 cm = 11,5 cm + 1,00 cm, donde sistema „oktametrico“, al posto delle dimensioni assurde del Mattone UNI italiano), se vero è, come lo è, che per L.A. Alberti. la „merabiglia-città“ è un costrutto „logico e razionale“ nel quale dal 20° secolo in poi, in Germania si sono incontrate „Indicazioni“ (del PRG), „Prescrizioni“ del PP) e relazioni matematiche, che hanno sbarrato ogni accesso a qualsivoglia forma di <indice di cubatura>, in „questa“ italia cagione della più disonesta speculazione fondiaria ed edilizia mai conosciuta nel paesi delle democrazie occidentali, donde il parlar di Progetto (der „Ent-wurf“, per Martin Heidegger) di Architettura (il Vittorio Gregotti de „Il Possibile necessario“) e Progetto di Piano.

E così siamo al senso della vita del pensiero occidentale con Immanuel Kant (Critica della ragion pura) a suggerirci sommessamente, come nei suoi stile e natura:

 

<<... il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell' oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. . . >>,

 

ma anche alla condicio umana, il cui tema centrale è costituito dalle circostanze dell' essere umano. Nei cimiteri romanticizzanti di un tempo, da una parte la morte era matarialmente rappresentata (....), mentre le tombe mostravano l' unicità e l' individualità dei morti, fornendo informazioni su nome, età, data di morte, relazioni di parentela o professione e affiliazione sociale. Allo stesso tempo chiaro era il riferimento alla condizione umana comune a tutt, scriveva, tra l' altro, qualche tempo fa la Neue Zuercher Zeitung.

 

È stato il filosofo francese Henri Lefebvre, invece, a ricondurci e farci comprendere il ruolo e l' essenzialità dello spazio in relazione a quella che lui chiamava come la riproduzione dei rapporti sociali di produzione. Un' idea, questa, a costituire il tema centrale nel suo testo del 1973 „La survie du capitalisme“ (La sopravvivenza del capitalismo), da intendere come lavoro propedeutico per „La produktioni de l' espace“ (La produzione dello spazio), dell' anno successivo, mettendo così in risalto come le sue idde abbiano avuto grande influenza sui teorici dello sviluppo urbano, come Edward Soja e David Harvey, oltreché sul dibattito che ne seguì, e ancora più che attuale, sulla „giustizia spaziale“.

 

Il dibattito di quegli anni su „La productione de l' espace“, mentre in Italia imperversava la tempesta della <strategia della tensione>, condusse ad una distinzione tra diversi livelli di spazio: da uno spazio naturale molto grossolano – che chiama „spazio assoluto“ - a spazi più complessi il cui significato sorge nella società che ne fa un „prodotto sociale“, una situazione sociale complessa che ha notevoli ricadute sia la pratica spaziale che la percezione dello spazio, diventando in paesi come la Cina „anche un mezzo di controllo e quindi di dominio, di potere“.

 

Secondo Lefebvre in ogni momento ogni società ha sempre prodotto il proprio spazio, donde è incomprensibile la città dell' antichità se la si considera soltanto come semplice agglomerato di persone e cose al punto che la si vuole cambiare (la società), occorre anche creare un nuovo spazio corrispondente. In questo contesto nota è stata la critica degli urbanisti dell' Unione Sovietica a Lefebvre per aver tralasciato questo aspetto: cioè la produzione di uno spazio „socialista“, riproducendo soltanto il concetto urbano di modernità capitalista.

 

La risposta di Lefebvre non si fece attendere: Cambia la vita! Cambia la società! Queste idee diventano completamente prive di significato quando non viene prodotto alcun spazio (appropriato a quello nuovo). Una lezione che possiamo imparare dai costruttivisti sovietici degli anni '20 e '30 e dai loro fallimenti è che le nuove relazioni sociali richiedono un nuovo spazio, e viceversa.

 

In „questa“ italia c' è tanto da fare per riportarla ai livelli che furono d' altri tempi. A cambiare deve essere non soltanto la cultura politica, bensì un modo „altro“ di pensare la città, capace di coniugare ordine, rigore e armonia in forza di una Legge urbanistica „nazionale“, giammai il ripiego all' anarchia del „non-Stato“ e al raglio di più asini nella stalla.

 

 

 

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