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eno è più)
(L. Mies v. d. Rohe)

 

La città come luogo di vita è bene pubblico

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Abbiamo perso di vista lo scopo delle nostre città. È tempo, ora, di applicare il sapere accumulato nel tempo in guisa di utilizzare gli effetti di una buona composizione spaziale urbana per il benessere degli abitanti e inoltre riesaminare concorrenze di utilizzo e poteri decisionali. Non solo la città, ma anche i suoi strumenti di progettazione e composizione devono essere trasformati in modo co-creativo. Poiché la città vuole essere vissuta, non solo pensata.
I nostri centri urbani sono prodotti molto combattuti. Che si tratti di città-museo precipue della città europea con edifici storici e facciate pittoresche, oppure di una città dello shopping a misura di auto con edifici commerciali di grandi dimensioni o centri commerciali installati nel tempo, la città come spazio di vita è stata ridotta a prodotto di marketing.
Alcuni sono più o meno impotenti di fronte alle masse di turisti, altri si battono affinché commercio al minuto e gastronomia, nonostante gli esorbitanti canoni d' affitto, diano vita alla città. Per alcuni la tutela dei monumenti o del patrimonio culturale mondiale cementa possibili percorsi di sviluppo nella storia, per altri il crescente numero di negozi vuoti sono motivo di tristezza e squallore. Le auto invadono in crescendo lo spazio pubblico (strade e piazze) e con discutibili strategie di marketing si cerca di arrestare ciò che non può essere fermato. Questa è l' amara realtà, oggi.
Secondo il pensiero del teorico delle scienze Matthias Varga, "La struttura del problema non è la struttura della soluzione". Pertanto, a mio avviso, è urgente sostenere alcuni architetti-paesaggisti, secondo i quali la ricerca di soluzioni non dovrebbe basarsi sul kit medico del Medioevo, ma piuttosto fissare nuovi standards nel decennio della sostenibilità. In un clima terrificante di lotta per l'immagine e il marketing, il motivo originario dell'esistenza delle città sembra essere stato perso di vista. Come promemoria: lo spazio vitale della città è emerso e cresciuto per necessità. Il commercio aveva bisogno di nodi lungo un percorso per facilitare lo scambio di merci. Il crescente processo di specializzazione in agricoltura, artigianato e commercio ha richiesto nella città post-industriale infrastrutture e servizi che solo le città possono fornire in modalità continua e articolata. Nulla è cambiato in termini di queste necessità. Ancora oggi sono alla base della pressante domanda della città come spazio vitale.
In verità, la modernità ha interrotto il principio della crescita insieme agli usi con lo spazio pubblico come baricentro, ponendo l'architettura in primo piano. , Secondo l' impietosa critica di Zygmunt Baumann, sociologo e filosofo, nella sua spinta all'ordine la modernità ha portato nelle città frammentazione e alienazione. Città, campagna e l' uomo: tutto è diventato prodotto di consumo.
È tempo di ripensare l'orientamento delle nostre città. In vista di società diversificate e individualizzate, questo non è un compito facile. Chi definisce cosa rende una città vivibile e attraente? Chi decide (lat.: decernere) sull'uso e la progettazione degli spazi pubblici? Diversi interessi stanno fianco a fianco e spesso l'uno contro l'altro. Tuttavia tutti sono d' accordo nel fatto che la città deve essere viva e vivibile. Qualsiasi cosa significhi.
Un 'interpretazione aprioristica, e pertanto superficiale, e la riconsiderazione dell'estetica passata spesso trasfigurano la realtà, in quanto competizione d'uso, concorrenza e malapolitica sono sempre state un problema per la città europe, avendo dato luogo ad angoli sprofondati nella sporcizia, a spazi pubblici (vie e piazze) dove vengono scaricati i veleni della combustione di gas metano delle centraline dei riscaldamenti domestici poste ad altezza d' uomo sui muri esterni degli edifici e trasformati in discariche a cielo aperto di rifiuti urbani e di conseguenza ambito prelibato di suidi (Genova, Roma, Palermo, Catania, etc.), senze dimenticare le facciate edulcorate, se puntiamo il dito sul lascito della sedicente architettura post-modernista.
Quel che dobbiamo fare senza lasciar scorrere altro tempo è dare un'occhiata critica alle concorrenze e ridistribuire i diritti d'uso in maniera più razionale, poiché dove la "infrastruttura dello status quo" occupa lo spazio e non reagisce ai cambiamenti, la città viene imbalsamata e, pertanto, resa afona come luogo di vita e di scambio commerciale. Senza dimenticare che lo spazio pubblico è un bene pubblico. E i beni pubblici ci sono di tutti.
Per quanto attiene la finalità degli obiettivi da perseguire, gli approcci dell'architetto e urbanista danese, Jan Gehl, secondo il quale nella città essere riportata la natura in guisa che l'uomo con le sue attività umane universali possa diventare misura dello sviluppo urbano: <Ogni città dovrebbe offrire ai suoi residenti ottimi luoghi dove andare, sostare, sedersi, guardare, parlare e ascoltare> (Jahn Gehl). Una progettazione degli spazi urbani a misura dei bisogni umani ha un effetto positivo sulla salute e sul benessere e, inoltre, rendere più solido il rapporto con il contesto spaziale e, pertanto, stimolare un atteggiamento positivo per il proprio ambiente.
Mai prima d'ora abbiamo saputo così tanto dell'effetto dell'architettura e del design degli spazi aperti sulla nostra percezione della città. Se ci sentiamo stimolati a soffermarci, per ammirazione o paura che possa essere, sempre presente deve essere la spinta al miglioramento dell' ambiente circostante, sia esso urbano o naturale. Oggettivamente dobbiamo ammettere che finora abbiamo fatto solo un uso rudimentale di questa conoscenza.
Lo sviluppo urbano ha bisogno di trasformazione e rigenerazione Non solo la città stessa, ma anche gli strumenti con cui attivare un' autentica composizione urbana dei quali preminente deve essere il ruolo da conferire al “Piano Particolareggiato” (Pianificazione “vincolante”) considerato nelle sue “prescrizioni” in rapporto al “Piano Regolatore Generale” (Pianificazione “preliminare” con le sue “indicazioni” finalizzata alla localizzazione delle “destinazioni d' uso” su tutto il territorio comunale. In quanto al suo carattere di pianificazione “vincolante” in forza delle sue “prescrizioni” (Allineamenti stradali, tipologia urbanistica, distanze tra gli edifici, altezza degli edifici, coefficienti di superficie, rispettivamente di suolo e di piano per il numero dei piani fuori terra, esclusione categorica dell' <indice di cubatura, cagione di una disonesta speculazione fondiaria ed edilizia, etc.) il Piano Particolareggiato è “approvato” (donde il carattere di <pianificazione “vincolante”>, a differenza del PRG, la cui redazione, che nella prassi normale viene “deliberata” dal C.C.) da una maggioranza politica del Consiglio Comunale, non di rado in maniera poco trasparente, vuoi per interessi di lobby esterne, giro di denaro e/o abuso di potere.
In ogni caso deve sempre trattarsi di strumenti e decisioni che devono valorizzare efficacemente le competenze, affrontando in modo attivo e orientato gli obiettivi proposti, neutralizzare al sorgere resistenze dettate da interessi particolaristici in guisa di arrivare a soluzioni accettabili e fattibili nel tempo, orientate al consenso. Processi tutti, essenzialmente caratterizzati dall' essere in grado di interpretare e rispondere ai complessi mutamenti sociali, alla richiesta di spazi abitativi diversificati ed economicamente sostenibili dalla famiglia media, ma anche da single e unioni di genere, nel contesto generale di spazi urbani vivibili e aperti ad innovative composizioni spaziali sul modello di Paesi della Mittel- e Nordeuropa, Canada, Stati Uniti e pochi altri.
Il design urbano ha bisogno di queste libertà, apertura e accessibilità all' innovazione, giammai lezioni accademiche. Pertanto è tempo di rivedere le competenze e mettere in discussione processi radicati, strutture di potere e regolamenti. Insomma, <La progettazione dal "sopra e dal fuori" deve lasciare il posto a nuovi processi dal "sotto e dal dentro", secondo il principio: prima la vita, poi lo spazio e infine gli edifici> (Jan Gehl). Gli uffici urbanistici e tecnici di città e comuni devono essere dotati di esperti in “Sviluppo, Pianificazione urbana e territoriale, Mobilità e Traffico” operanti in stretta armonia con le istituzioni centrali e periferiche preposte alla difesa di clima e ambiente. All' uopo, oltre ad efficienti Diritto urbanistico (Legge urbanistica “nazionale” e Ordinamento “nazionale sull' uso dei suoli e dei lotti edificabili) e Diritto edilizio pubblico (Regolamenti edilizi “regionali” e Statuti urbani), indilazionabile deve essere la rivalutazione di ruolo e funzione degli Uffici prov.li del Genio Civile e dei Provveditorati reg. li alle OO.PP., in altri tempi fiore all' occhiello del Fascismo.
Lo sviluppo urbano è un bene pubblico. Occorrono creatività e il coraggio, se necessario, di percorrere strade alternative. Non basta parlare. Il corpo sociale deve essere fortemente coinvolto nell'elaborazione delle informazioni, oltreché nella percezione e nella volontà di agire. Grazie ad una libera composizione spaziale urbana le soluzioni possono essere percepite in tutta la loro rilevanza, invece di essere trattenute in discorsi immaginari polarizzanti. La città, come luogo di vita, viene pertanto interiorizzata e vissuta in tutti i suoi aspetti, risvolti e complessità. A allora perché non pensare al suo sviluppo per poterla vivere nella sua interezza?
 
 
 
 
 

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