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(L. Mies v. d. Rohe)

 

Brevi cenni sulla storia dell' abitare

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(Articolo pubblicato in concomitanza con il conferimento degli incarichi ai componenti della nuova Giunta comunale di Palermo, presieduta da Roberto Laganà)

 

La storia dell'abitare e delle "proprie quattro mura" si presenta come una storia di un bisogno di isolamento dall'esterno e di una crescente differenziazione interna dello spazio concreto dell'abitare, corrispondente ad una crescente consapevolezza della distanza tra individui e gruppi, man mano che si sviluppano nel corso della specializzazione crescente e dello sfruttamento specifico del gruppo e degli interessi di potere sviluppati.

 

Le prime forme abitative arcaiche possono essere viste, ad esempio, in Catal Hüyük (6500 aC) come case rettangolari di una stanza che sono vicine tra loro e mostrano convivenze condivise e separate. Il rifugio più antico è stato scoperto sulla Costa Azzurra. 400.000 a.C Datato al 300 a.C, è considerato il precursore di tutte le successive costruzioni con tetto a falde ea falde. Il "tetto sopra la testa" e il "muro di protezione" sono all'inizio della storia dell'abitare. A partire dal donjom, la torre residenziale del castello altomedievale (XII secolo), si possono osservare processi di differenziazione orizzontale e verticale nella divisione dello spazio, che hanno portato all'odierno. Come prima figura storica di separazione, la sala e la camera emergono come uno spazio pubblico e intimo. Il processo di ulteriore differenziazione può essere visto nella vita borghese in ulteriori divisioni di stanze come salotto, cucina e altre stanze.

 

L'edilizia popolare come fenomeno urbano inizia nel XIX secolo nel corso della rivoluzione industriale e die primi processi di industrializzazione.Il perverso abbinamento luogo di lavoro-luogo di residenza avrebbe dovuto garantire la disponibilità (produzione!) di lavoratori ai primi conati del nascente capitalismo e così Londra, New York, Parigi e Berlino si rivelarono luoghi ideali e palcoscenici di edifici per l' abitazione di massa.

 

Col senno e i progressi del poi si trattava di condizioni di vita inimmaginabili. Mancava tutto: aria, luce, attrezzature igieniche. Il rischio di epidemie era permanente. Il primo edificio comunitario di New York comprendeva 116 "appartamenti" su un'area di 850 metri quadrati. Un alveare o "rifugio notturno" che si è consumato nei suoi 50 anni di vita per essere, infine, demolito. Il primo regolamento abitativo prescriveva una finestra per ogni stanza e dimensioni abitative minime sulla base del numero delle persone in contrasto stridente con le abitazioni della borghesia.

 

Dal punto di vista socio-politico una ulteriore organizzazione delle abitazioni di massa seguì a lenti passi e si dovette attendere le coraggiose iniziative del socialismo utopico di pregnanza francese per poter balbettare di evoluzione, giammai di rivoluzione. Di pari passo la differenziazione della stanza evolve da un modello unicellulare a uno multicellulare. Le stanze passanti sono sostituite dalla concezione dell'appartamento anticamera.

 

Oltre alla componente sociale sul miglioramento delle condizioni di vita, la costruzione di alloggi di massa per la popolazione attiva urbana può anche essere vista come un progetto di disciplina, addomesticamento e privatizzazione. Oltre a una nuova etica del lavoro, doveva essere appresa una nuova etica di vita secondo il principio: lavora per vivere invece di lavorare come prima per poter vivere.

 

Oltre alla differenziazione della struttura spaziale come processo culturale, incominciavano a farsi strada i primi concetti di approfondimento su una sua differenziazione all'interno, prima, e contestuale, poscia, e sul suo significato, per passare, infine, all'esterno, attraverso la facciata (l'architettura), il giardino, il luogo, facendo così dell' edilizia abitativa una localizzazione sociale e una messa in scena culturale oberata da complessità ancora, oggi, irrisolte.

 

Renovatio urbis, come sensibile operazione culturale; rigenerazione urbana, come critica e sociale operazione di salvezza della città europea, latu sensu, e della città storica italiana, strictu sensu, nell' Itali(ett)a dei festivals di San Remo e dei malgoverni in serie fibonacciana si sono rivelate sfide (e sono sino ad oggi con certezza di prosecuzione per domani) socio-economico-politiche rimaste nel limbo, vuoi per il consolidamento del culturame vetero comunista in nuove forme di subdola, quanto camaleontica, sopravvivenza della quale l' ultimo conato è stata l' apparizione serafica e provocante dell' architetto Franco Micelli nella corsa nel sacco all' indietro verso il Palazzo delle Aquile e la sua sparizione nell' inganno di una presunta, quanto vana, rianimazione di un sedicente Consiglio Nazionale di categoria.

 

Ora siamo al travaso di un destrume degenerato da un agonizzante Musumè(ci), dimentico del default cui è stata consegnata dal suo destrume la sua dinamica Catania alla sceneggiata del Palazzo delle Aquile della Balerm, resa ancora più ridicola dalla presenza di due accademici dell' Unipa: un ex-rettore e un afono „ordinarius“ di Urbanistica, quanto tozzo, pel suo ambito professionale con riferimento alla sua creatura: la sedicente, nuova legge urbanistica regionale.

 

Il clima di degrado istituzionale, socio-economico e morale, e il pietoso tonfo nella mota della malapolitica di quello che, elevato ai cieli di <St(r)upor mundi> et <secundus homo providentiae italiae> è proprio quello ideale.

 

 

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